Della Guerra di Carl Von Clausewitz è un classico della polemologia che analizza la guerra come fenomeno politico, psicologico e strategico capace di influenzare il destino delle nazioni e di ridefinire i rapporti di potere.
Pubblicato nel 1832, questo scritto viene considerato come uno dei testi più importanti nella storia della strategia militare e viene tutt’ora studiato da generali, strateghi e appassionati di scienze militari in ogni parte del mondo.
In Della Guerra, Clausewitz svela i meccanismi strategici, politici e psicologici che regolano gli scontri umani, offrendo una visione completa e lucida della guerra come fenomeno.
In sintesi, l’autore permette ai lettori di comprendere a fondo come la guerra sia un’estensione della volontà politica e utilizza la sua esperienza diretta sul campo di battaglia per tracciare un’analisi con cui guidare chiunque voglia capire davvero la storia e le strategie da seguire.
In questa pagina analizzeremo in ogni particolare Della Guerra di Carl Von Clausewitz, il libro che – da quasi due secoli – guida studiosi, strateghi e appassionati di storia militare nella comprensione dei meccanismi che regolano gli scontri umani e che oggi trovano applicazione quotidiana in settori come business e politica.
Sommario:
Buona lettura!
Carl von Clausewitz nacque a Burg, in Sassonia, il 1° luglio 1780 e mostrò fin da giovane un forte interesse per la vita militare.
Si arruolò come volontario a soli dodici anni e – durante i suoi primi anni di servizio – strinse diverse amicizie importanti, tra cui quella con Gerhard von Scharnhorst I, un generale di spicco delle armate prussiane.
La prima grande svolta nella carriera di Clausewitz avvenne nel 1806, quando prese parte alla campagna anti-napoleonica della Quarta Coalizione; purtroppo, questa esperienza si concluse in modo disastroso e vide Clausewitz ferito e prigioniero dei francesi.
Venne rilasciato nel 1807.
Negli anni successivi l’amicizia con Scharnhorst continuò e i due cominciarono a progettare una riforma militare delle armate prussiane.
Nel 1810, Clausewitz fu promosso a maggiore e sposò Marie von Brühl, entrando sempre più a fondo nei circoli influenti di Berlino.
La carriera di Clausewitz proseguì rapidamente, tanto che gli venne affidato il compito di formare il principe Guglielmo: per lui scrisse nel 1812 l’opuscolo I Princìpi della guerra.
Nello stesso anno, si oppose alla politica filo-francese della Prussia e lasciò temporaneamente l’esercito tedesco per far parte dell’armata dello Tsar, dove proseguì la sua carriera fino allo stato maggiore partecipando alla campagna del Baltico.
Benchè salì al grado di generale nel 1818 per meriti militari, a Berlino i suoi ideali riformatori destavano sospetti e lo portarono a ricoprire esclusivamente un incarico amministrativo all’interno della scuola bellica.
Fu qui che trovò il tempo e la concentrazione per iniziare a scrivere la sua opera più famosa, Della Guerra: il frutto di anni di riflessione e di esperienza diretta sui campi di battaglia europei.
Morì a Breslavia il 16 novembre 1831 a causa di un’epidemia di colera.
Ritratto di Carl Von Clausewitz
In ventitre anni (dal 1808 al 1831), Von Clausewitz scrisse e pubblicò sette opere tra libri e lettere; tra queste, si trova Della Guerra, il suo scritto più importante.
Nel prossimo paragrafo analizzeremo il suo contenuto, effettuando successivamente un riassunto capitolo per capitolo con tanto di spiegazione di ogni passaggio e delle informazioni contenute al suo interno.
Continua a leggere!
Della Guerra di Carl Von Clausewitz è un testo di strategia militare del 1832 che analizza la guerra da ogni angolazione, indagando sulle dinamiche del potere militare e sulla loro influenza sul destino delle nazioni.
Attraverso un’esposizione lucida e tagliente, Clausewitz definisce la guerra come la prosecuzione della politica con altri mezzi, offrendo al lettore un’analisi senza tempo e mostrando come ogni conflitto armato abbia radici e finalità politiche.
Qui l’autore prussiano sottolinea che il concetto di strategia non si limita alle manovre militari ma implica la definizione di un obiettivo politico chiaro e di lungo termine.
Inoltre, Clausewitz individua tre poli – popolo, esercito e governo – come elementi imprescindibili per comprendere la guerra e le sue dinamiche più profonde.
Si tratta di un testo che presenta concetti e termini innovativi per l’epoca che tutt’ora permettono di comprendere l’imprevedibilità della guerra, i punti nevralgici del potere e il loro equilibrio.
Nonostante siano passati quasi due secoli dalla sua stesura, Della Guerra rimane un testo di estrema attualità che dovrebbe essere letto da chiunque si occupi di strategia e decision making.
Infatti, le intuizioni di Clausewitz si dimostrano fondamentali non solo per interpretare la guerra ibrida e l’evoluzione dei conflitti nell’era contemporanea, ma anche per comprendere le dinamiche che regolano il mondo degli affari e della leadership.
Non a caso, è uno dei quattro libri di strategia militare che accomunano leader politici, manager e generali di successo da più di 655 anni.
Dopo aver parlato del contenuto di questo manoscritto, è arrivato il momento di riassumere il suo contenuto capitolo per capitolo.
Il primo capitolo introduce la guerra come uno scontro prolungato, in cui due contendenti cercano di imporsi l’uno sull’altro attraverso la violenza fisica.
Qui Clausewitz spiega come la guerra sia un atto di violenza che non può essere mitigato da ideali di umanità: chi usa la forza senza limiti, prevale su chi si ferma.
Questa logica conduce i contendenti a spingersi reciprocamente verso l’estremo, fino al limite della loro capacità di resistenza.
Il capitolo secondo analizza come i combattimenti, pur essendo episodi distinti, siano legati da un filo logico e politico che ne determina la successione.
Quando il valore politico dell’obiettivo non giustifica più il sacrificio richiesto, la pace diventa un’alternativa più ragionevole.
Clausewitz spiega che la distruzione dell’esercito avversario non è sempre necessaria per vincere: a volte basta colpire la sua fiducia e stabilità politica.
La guerra, quindi, è una sequenza di azioni che mirano ad aumentare le probabilità di successo complessivo.
L’autore conclude questa sezione affermando che la vera forza della guerra risieda nella capacità di adattare i propri mezzi e propri obiettivi.
La strategia è il collante che unisce i combattimenti in un unico disegno capace di piegare la volontà nemica senza distruggere tutto.
Il capitolo terzo definisce la differenza tra “strategia” e “tattica” nella guerra.
Qui Clausewitz chiarisce che la strategia riguarda l’uso complessivo dei combattimenti per raggiungere l’obiettivo della guerra, mentre la tattica si occupa delle modalità con cui questi combattimenti vengono condotti.
La strategia stabilisce il momento, il luogo e la forza da impiegare, mentre la tattica realizza questi ordini attraverso le battaglie effettive.
Entrambe sono parte di ciò che noi chiamiamo “l’arte della guerra“, la quale non si limita alla mera preparazione delle truppe ma abbraccia anche la loro applicazione.
Il capitolo sottolinea come la teoria militare debba distinguere tra la preparazione dei mezzi e il loro impiego.
Questa differenza permetterebbe di adattarsi meglio alla realtà, evitando di confondere la guerra con una scienza statica o un’arte meccanica.
Qui Clausewitz esplora l’importanza della superiorità numerica in una battaglia ritenendola il fattore più importante per la vittoria, poiché il numero di soldati disponibili può spesso determinare l’esito dello scontro.
La strategia deve quindi puntare a concentrare il maggior numero di truppe nel punto decisivo anche se altri fattori, come la qualità delle forze e la loro disposizione, influenzano il risultato.
Tuttavia, lo scrittore prussiano sottolinea come un’eccessiva fiducia nella semplice forza numerica sia un errore che trascura la complessità del campo di battaglia.
La superiorità numerica non è un dogma assoluto ma un principio da applicare con intelligenza e flessibilità, integrando i numeri con la volontà e la capacità di manovra.
Questo capitolo riflette sulla natura della guerra, dibattendo se sia un’arte o una scienza.
La guerra – afferma Clausewitz – è un fenomeno sociale complesso simile al commercio o alla politica, dato che nasce dall’interazione di interessi e passioni umane.
La teoria militare deve quindi servire a guidare il giudizio pratico, non a prescrivere regole rigide.
Questo capitolo analizza come principi, regole e direttive si adattino alla pratica militare.
Clausewitz distingue la legge come un principio generale e flessibile, mentre le regole e le direttive si applicano a casi più concreti.
La dottrina è vista come un metodo che si basa su probabilità medie e ripetizione, utile per gestire l’incertezza tipica della guerra.
Tuttavia, la guerra non può essere ridotta a un semplice metodo: deve restare un ambito in cui il talento e il giudizio personale hanno spazio.
Clausewitz conclude dicendo che la teoria militare deve illuminare la mente del comandante ma senza sostituirsi a essa.
Il capitolo discute l’importanza della sorpresa come elemento strategico e tattico.
Qui Clausewitz afferma che la sorpresa si basa su segretezza e rapidità ma dipende anche dalla forza morale e dalla disciplina.
La sorpresa ha effetti più significativi nella tattica che nella strategia, poiché è più facile da realizzare su piccola scala.
Infine, l’autore avverte che la sorpresa può diventare un’arma a doppio taglio: se mal gestita, può ritorcersi contro chi la tenta, dimostrando che la vittoria richiede sempre un equilibrio tra audacia e prudenza.
In questo capitolo, Clausewitz evidenzia l’importanza di concentrare le forze nel punto decisivo: solo così è possibile ottenere una superiorità effettiva e sfruttare al massimo la potenza dell’esercito.
Egli critica la tendenza a disperdere le truppe in molteplici direzioni – spesso dettata da abitudini o tradizioni piuttosto che da vere necessità strategiche – affermando che la dispersione indebolisce l’azione e diluisce la forza d’urto.
La regola fondamentale resta quindi la concentrazione delle forze, mentre ogni eccezione deve essere giustificata con motivazioni chiare e urgenti.
Qui Clausewitz approfondisce la differenza tra strategia e tattica: la tattica sfrutta le forze nel corso di una battaglia, mentre la strategia le impiega simultaneamente per raggiungere uno scopo complessivo.
La strategia deve sempre puntare all’impiego simultaneo di tutte le forze disponibili per un obiettivo strategico.
La lezione è chiara: nella guerra, l’azione simultanea e decisa delle forze è la chiave per ottenere vittorie significative e durature.
Il capitolo esplora come la guerra alterni fasi di equilibrio, tensione e movimento: ogni volta che una parte si propone un obiettivo e l’altra vi si oppone, nasce una tensione che porta a un nuovo movimento.
Questa dinamica, simile a un ciclo, spiega come la guerra non sia mai statica: anche nei momenti di riposo apparente, la preparazione e l’inerzia delle forze continuano a influenzare l’andamento del conflitto.
Clausewitz mostra così come la guerra sia un processo fluido, governato da forze contrapposte che si equilibrano o si scontrano in un continuo gioco di decisioni e reazioni.
Clausewitz introduce il concetto di “centri di gravità” come i punti nevralgici che sostengono la forza di un esercito o di uno Stato.
Colpire questi centri significa compromettere la capacità complessiva del nemico.
La grande battaglia è vista come il centro di gravità più evidente, poiché coinvolge tutte le energie disponibili per ottenere una vittoria decisiva.
Tuttavia, esistono anche centri di gravità politici ed economici e identificare e colpire questi punti permette di ottenere risultati rapidi e duraturi, senza dover annientare ogni singola resistenza.
Il capitolo esplora come la vittoria in battaglia abbia effetti che vanno oltre il semplice annientamento fisico del nemico.
Qui Clausewitz fa notare come la vittoria morale e la percezione del successo possano avere conseguenze decisive sul corso della guerra.
Questi effetti psicologici e politici, come il crollo della volontà avversaria o il rafforzamento degli alleati, spesso determinano più del semplice calcolo delle perdite.
La guerra, quindi, non si risolve solo sul campo ma nella mente e nella determinazione dei contendenti.
Clausewitz descrive come la distruzione delle forze avversarie sia la via maestra per ottenere la vittoria, precisando che non si tratta di un annientamento fine a sé stesso, ma parte di un calcolo più ampio che tiene conto delle risorse disponibili e del rischio.
L’idea di una doppia legge – distruggere e conservare le proprie forze – deve guidare il pensiero strategico.
La grande battaglia è il momento in cui questa legge trova la sua massima espressione, portando alla direzione definitiva del conflitto.
Clausewitz spiega che la difesa, per natura, offre vantaggi superiori rispetto all’attacco poiché parte da una posizione consolidata e più protetta.
Alla fine, l’obiettivo rimane sempre la vittoria e questa può essere ottenuta solo passando a un’azione offensiva.
La difesa, quindi, è solo una fase utile (ma transitoria) in un ciclo più ampio di movimento e contromovimento.
In questo capitolo, Clausewitz esplora la relazione dialettica tra attacco e difesa: la difesa parte da un vantaggio statico mentre l’attacco punta a rompere questa superiorità.
L’arte militare consiste nel saper combinare le due modalità, sfruttando la solidità difensiva e la spinta offensiva per ottenere il massimo vantaggio.
Il successo dipende da questa sapiente alternanza, non da un uso unilaterale dell’una o dell’altra.
Il capitolo analizza come, nel corso delle operazioni, le forze possano convergere o divergere in funzione degli obiettivi.
Se la convergenza rappresenta la massima concentrazione verso il punto decisivo, la divergenza disperde la forza e rischia di compromettere l’efficacia dell’azione.
La strategia deve sempre puntare a unire le forze verso un obiettivo comune, per evitare sprechi e ottenere il massimo impatto.
Clausewitz introduce il concetto di “punto culminante dell’attacco”: ovvero il momento in cui l’offensiva raggiunge la massima forza prima di iniziare a indebolirsi.
Superato quel punto, l’attacco perde slancio e rischia di fallire.
Il comandante deve sapere quando fermarsi e consolidare le conquiste, evitando di spingersi oltre i limiti delle proprie forze.
Questo equilibrio tra audacia e prudenza è fondamentale per il successo.
Il capitolo prosegue sul tema del “punto culminante“, questa volta applicato alla vittoria.
Clausewitz sottolinea come anche la vittoria conosca un apice: il momento in cui il successo si consolida e può essere sfruttato al massimo.
Dopo questo culmine, ogni ulteriore sforzo può trasformarsi in rischio e compromettere i guadagni ottenuti.
Il vero comandante sa riconoscere quando è il momento di fermarsi e consolidare i risultati.
Clausewitz effettua una distinzione tra “guerra assoluta”, in cui ogni limite è sospeso, e “guerra reale”, la quale invece si adatta a circostanze e vincoli.
Il comandante deve comprendere questa distinzione per evitare di sacrificare inutilmente uomini e risorse, solo così la guerra rimane uno strumento efficace della politica.
Il capitolo analizza come la tradizione politica europea abbia plasmato il concetto di guerra.
Clausewitz qui mostra come la guerra assoluta, in realtà, sia un’astrazione: le guerre reali sono sempre condizionate dalle esigenze politiche.
La guerra è quindi uno strumento della politica e non un’entità autonoma.
Questo legame spiega perché la guerra, nella realtà, raramente assume la forma pura ed estrema che la teoria descrive.
Clausewitz spiega che lo scopo ultimo della guerra resta sempre quello di sconfiggere il nemico, anche se non sempre ciò implica la sua distruzione fisica completa.
La vittoria può assumere diverse forme, a seconda della politica e delle circostanze.
L’importante è ridurre la capacità del nemico di opporre resistenza, piegandone la volontà o spezzandone la forza.
La guerra, dunque, resta sempre un mezzo per raggiungere un fine politico.
Questi capitoli trattano delle guerre a obiettivo limitato, ovvero quegli scontri in cui non si cerca la distruzione totale dell’avversario.
Clausewitz osserva come, in molti casi, l’obiettivo sia solo ottenere vantaggi politici parziali o negoziare da una posizione più forte.
In queste guerre, la violenza è comunque presente ma è calibrata rispetto a uno scopo più contenuto.
La guerra resta uno strumento della politica e il suo grado di distruzione dipende dall’ampiezza degli obiettivi politici.
Questo capitolo ribadisce come la guerra nasca e si sviluppi sempre in funzione degli obiettivi politici.
Qui Clausewitz sottolinea come la politica stabilisca lo scopo militare e ne limiti o ne amplifichi la portata.
La guerra, quindi, non è un fine in sé ma un mezzo per ottenere vantaggi politici: questa subordinazione alla politica la rende un atto razionale, nonostante la violenza che comporta.
Clausewitz spiega come, anche negli scontri per obiettivi limitati, la distinzione tra difesa e attacco resti fondamentale.
La difesa offre stabilità, mentre l’attacco mira a ottenere un guadagno misurato.
La strategia deve valutare quando è più opportuno difendere o attaccare, in base ai mezzi e alla situazione politica.
In ogni caso, l’arte militare consiste nel modulare l’intensità dello sforzo rispetto allo scopo reale.
Clausewitz chiude il libro sottolineando come il cuore della guerra resti il combattimento, inteso come mezzo per sconfiggere la forza dell’avversario.
Il piano strategico deve sempre partire da questa realtà.
La distruzione delle forze nemiche è la base di ogni piano di guerra, anche quando lo scopo finale non è l’annientamento dell’avversario: solo tenendo conto di questo, la strategia può adattarsi alle circostanze e ottenere la vittoria.
A quasi duecento anni dalla sua prima pubblicazione, Ibex Edizioni presenta la nuova versione integrale di “Della Guerra” di Carl von Clausewitz, un classico intramontabile che ancora oggi illumina il pensiero strategico e la natura dei conflitti.
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Si tratta di una guida fondamentale per comprendere e usare a proprio vantaggio le regole che governano la guerra e la competizione in ogni ambito e in ogni sua forma, dai campi di battaglia al mondo del business.
Oltre alla modernità della traduzione, il volume è arricchito da un saggio introduttivo a cura del Generale Fabio Mini – comandante NATO della missione KFOR in Kosovo dal 2002 al 2003 – che collega i principi clausewitziani alle sfide affrontate dall’uomo moderno.
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